domenica 24 ottobre 2010

FABER EST SUAE QUISQUE FORTUNAE

Calcando ogni giorno le strade infinite del mondo, si fa crescente la conclusione che ognuno è artefice del proprio destino. Ci si può fermare ad accovacciarsi per raccogliere un'opportunità che sta sul ciglio della strada; si può proseguire ignorandola perché magari è l'opportunità giusta per altri, ma per noi può essere deleteria; o ancora, dal fango, dalla terra e da qualche erbaccia si può amalgamare la nostra occasione, come si può dare un calcio a tutti questi elementi perché anche se apparentemente funzionali nascondono trappole e marciume.

Faber est suae quisque fortunae, ed è per questo che preferisco un libro, una poltrona e il tepore rasserenante di una scoppiettante fiamma nel caminetto, alla mondanità, ai tacchi a spillo, alla musica assordante e agli sguardi eccitati e mercificanti di qualche manichino inamidato.
Le scelte che ho compiuto in passato si rivelano più che mai azzeccate, l'inconsistenza dell'apparenza è inconciliabile con il gravoso ma appagante peso della sostanza che da sempre mi contraddistingue.

Si percorrono i sentieri che conducono a ciò che più o meno consciamente ci attrae; chi è metodico non cercherà né scorciatoie né discese, ma considererà come più affidabili e fruttuosi solo i percorsi lunghi e in pendenza. Chi è convinto delle proprie potenzialità rifiuterà di calcare le orme di qualcun altro, e men che meno accetterà di percorrere una strada già spianata da qualche altro viandante; al contrario, cercherà percorsi selvaggi e riuscirà ad ammaestrarli e a bonificarli, estirpando le erbacce e mirando dritto al traguardo.
Diffidando dell'agio e benedicendo il sudore, si arriverà al successo e alla realizzazione.
Ogni altra alternativa non sarà altrettanto valida. Il massimo che può raggiungere chi si accontenta per propria debolezza d'animo, saranno tranquillità ed agio apparente, sotto al quale dimorerà per sempre un velo d'amarezza e infelicità che forse all'esterno non si manifesterà, ma all'interno sarà latente persecuzione per il resto dei giorni.

domenica 17 ottobre 2010

WAITING FOR GODOT. (O VIVERE CON LA SPIA GIALLA)

Ci sono momenti nelle giornate in cui ti ritrovi in attesa. Non sai bene di cosa, ti senti come fossi in standby con l'impressione che da un momento all'altro arrivi qualcuno a premere il pulsante d'accensione. Il più delle volte questo non accade e così trascorri settimane a "spia gialla" senza che diventi mai verde. O rossa.
Succede quando sei una persona libera e prigioniera allo stesso tempo. Succede quando metabolizzi l'esperienza e per questo ti senti più pesante, più imponente. Succede quando hai ali troppo grandi per camminare e troppo piccole per volare. Quando cammini lungo una strada cercando di affrettare il passo, ma le suole sono cosparse di sostanze collose che ci si sono attaccate qualche incrocio prima. Succede quando sei libera nella pratica, ma imprigionata nei pensieri.

martedì 12 ottobre 2010

ESASPERATA DAGLI OPPORTUNISTI

Mi sono davvero stancata.
Delle persone che mi cercano solo se sono in difficoltà e poi spariscono quando ho soddisfatto le loro necessità.
C'è chi si fa sentire solo in prossimità di un esame per avere un aiuto da me che sono sempre disponibile a prestare appunti e a spiegare regole. Ed io ci ricado ogni volta; perché se posso fare del bene con quello che ho imparato non mi tiro indietro, non mi risparmio e lascio che gli altri possano apprendere da me e dal lavoro che con fatica e continuità ho svolto nel corso degli anni.
C'è chi invece apprezza di me la versione da "psicologa", quella che analizza problemi e comportamenti, quella che ha una parola giusta per i momenti di sconforto e tristezza. Quando con la mia pazienza, il mio tempo e i miei consigli la malinconia svanisce e cede il posto all'euforia, allora queste persone ritornano sulla strada del divertimento e della spensieratezza e si dimenticano il percorso che hanno intrapreso per essere così allegri.
Ogni volta che rimango "sola", quando queste persone spariscono, prometto a me stessa di sparire anche io quando si rifaranno di nuovo vive alla ricerca di soluzioni ai loro problemi, eppure ogni volta puntualmente non mi attengo al giuramento, me ne dimentico, o forse il mio istinto di "salvare il mondo" prevale sul rancore e sull'egoismo.
"Come farei senza di te", quante volte me lo hanno detto... E quante volte mi hanno dimostrato che invece senza di me stanno benissimo.

domenica 3 ottobre 2010

I MIEI OCCHI, NON LI FACCIO LEGGERE

Nel corso degli anni mi sono più e più volte analizzata e sono giunta alla conclusione di essere una creatura al cui interno si combattono lotte all'ultimo sangue tra opposte sensazioni, istinti e idee. Spesso manco di sfumature, non riesco a vedere l'infinita varietà di alternative che si interpongono tra il bianco e il nero, tra il giusto e l'errato, tra il bene ed il male.
Così ho iniziato a riflettere sul mio rapporto con l'altro sesso. Sono prevenuta nei confronti del genere maschile, mi infastidisce anche il minimo tentativo di approccio, mi chiudo come un riccio e decapito qualsiasi comunicazione con la fermezza e la crudeltà di un boia sul patibolo. Ho come l'impressione che anche un semplice dialogo possa violare la mia persona, leggo la malizia negli occhi degli interlocutori, penso che vogliano scassinare il mio equilibrio e derubarmi della mia serenità solo per un loro tornaconto. Per questo non lascio speranze e possibilità a nessuno, allontano qualunque persona abbia la "presunzione" di potersi avvicinare a me per obiettivi che esulino dall'amicizia. Provo fastidio, vedo gli uomini come esseri viscidi e mi sembra quasi di avvertire questa viscidità sulla mia pelle già nel momento in cui mi chiedono di prendere un caffè o di scambiarci il numero di telefono. E' più forte di me, non riesco a far finta di niente, ad eliminare questa sensazione nauseante che mi pervade quando avverto il pericolo di invasione dei miei spazi, e allora abbasso lo sguardo per non farmi fissare negli occhi, perché poi è come se già sentissi quel banale complimento che ne consegue sul verde limpido del loro colore, cosa che mi imbarazza e che voglio evitare. Rifiuto inviti, dico che sono impegnata, che non ho tempo, che presto me ne andrò, che non è il momento, che...che...che...
Mi sento a disagio, vorrei lasciarmi andare, ma allo stesso tempo sono incatenata nel mio fastidio, nel mio disagio, nel mio essere estremista, anche nei sentimenti.
Mi ricordo quand'ero innamorata, quando tutte queste barriere erano capitolate nella frazione di uno sguardo, quando il fastidio si era tramutato in piacere, in lusinga, in amore. 
Mi dispiace non sentirmi più così, mi dispiace che fin dall'istante in cui conosco una persona e le stringo la mano per presentarmi sento quel brivido di ribrezzo, come se l'uomo che ho davanti, chiunque esso sia, porti con sé la sporcizia e il marciume di un mondo corrotto.
Può darsi che non sia il momento giusto per avere intorno a me qualcuno, nemmeno per la durata di una notte. Può darsi che come un eremita abbia bisogno di starmene in disparte, che sia un lupo solitario, un personaggio burbero che fa terra bruciata intorno a sé rendendosi inaccessibile agli altri.
Sono consapevole che c'è un momento giusto per tutto nella vita, che, per citare il grande Battiato, "la stagione dell'amore tornerà". 
Dovrei essere contenta, perché in questo periodo ho imparato ad amare me stessa, ma forse proprio per questo, vedo il resto del mondo come stupido, omologato, banale ed insulso, e non riesco più ad amarlo.
Forse devo solo avere pazienza, il prossimo step della mia crescita consiste proprio in questo, tornare ad avere fiducia negli altri e rendermi accessibile. Ora non è il momento.
L'unica cosa che non riesco a capire è perché, nonostante tutto, sono proprio i momenti che trascorro con la persona che più di tutte mi ha presa in giro quelli in cui non mi sento violata e aggredita, in cui depongo le armi e smetto di vivere sulla difensiva, in cui non abbasso gli occhi per non farmi dire che sono belli.
Chissà, col tempo magari capirò anche questo.