martedì 27 dicembre 2011

La chiave della bellezza

Ho passato periodi della mia vita in cui evitavo di bere un succo di frutta, ossessionata dal numero delle calorie e dalla paura di ingrassare.
Ho passato periodi della mia vita in cui continuavo a perdere peso (e felicità) per sentirmi degna di un canone sciorinato da una società del benessere che la crisi non la sente (o quantomeno non la sente abbastanza) visto che rimane ancorata ai suoi non-valori, piuttosto che riscoprirne di veri ed autentici.
Ho passato periodi della mia vita in cui la sera a letto mi mettevo a pancia in sotto per sentire quanto le ossa del bacino fossero prominenti ed affondassero nel materasso. 
Poi mi mettevo di profilo e mi carezzavo la pancia, per sentire se fosse aumentata, diminuita, sperando di trovarla completamente piatta. 
Alla fine mi mettevo supina, per vedere come sarei dovuta essere. Ossa sporgenti e addome rientrante.

Nonostante questo c'era qualcosa che non andava. 
Sempre. 
Perché avrei potuto essere più tonica, più alta, più magra. 
Meno golosa, meno formosa, meno donna.
I miei vent'anni, li ho passati così.
Impazzendo dietro ad un'ideale che manderebbe fuori di testa anche la persona più bella ed equilibrata della terra.

La cosa più tremenda è che quando si vive una determinata realtà e si crede che un determinato standard sia quello giusto, niente e nessuno al di fuori di quel contesto può convincerci del contrario. 
Vivere nella dimensione photoshop, toglie dimensione al nostro essere.
Nello specchio non vediamo noi stessi, ma l'immagine di noi stessi, uno scatto intriso di difetti da correggere.
La disperazione arriva nel momento in cui ci accorgiamo che accanto allo specchio non c'è il tasto "modifica".
E a correggerci non c'è nessun pennello, né il timbro clone. E per le correzioni che vogliamo noi, anche le diete più inumane (e le abbiamo provate tutte) si rivelano insufficienti.

Quando si tocca il fondo sperando di raggiungere un ideale, qualunque esso sia, così distante da quello che siamo, si rischia veramente grosso. Si rischia in salute, in umore, in armonia. Si rischia di sprecare giorni preziosi della nostra vita in una sfida sfiancante, ma soprattutto priva di ogni logica.

Rivedendo tutto dall'esterno, e a distanza di anni, mi rendo conto di quanto tutto questo sia pericoloso.
E purtroppo so di non essere stata né la prima né l'ultima a vivere esperienze di questo tipo.
Posso dire d'aver avuto una gran fortuna, perché prima che la situazione diventasse di proporzioni preoccupanti, una serie di eventi intorno a me e dentro di me hanno giocato a mio favore: mi sono allontanata dalle cause del mio male e allo stesso tempo ho potuto vedere la realtà da altri miliardi di prospettive che mi hanno mostrato l'irrilevanza del mio accanimento verso un obiettivo futile e in fin dei conti nemmeno troppo edificante.

Nel mio percorso di crescita, ho capito che la bellezza non è una e non proviene solo dal corpo.
Esistono miliardi di bellezze che sono date dall'essenza della persona, dal far emergere al meglio la propria personalità attraverso il corpo.
Il corpo è uno strumento. Saperlo suonare bene richiede pratica ed esercizio, perché dobbiamo entrarci in confidenza, renderlo davvero nostro e conoscerne ogni angolo, per poterlo amare.
La nostra sofferenza nasce quando, avendo un violino, piuttosto che concentrarci per donare a noi stessi e agli altri un concerto d'archi meraviglioso, vorremmo che uscisse il suono distorto di una chitarra elettrica.

Succede perché magari ci hanno convinti che la chitarra elettrica sia l'unico strumento in grado di suonare bella musica, succede perché ci dicono che il violino è fuori moda... insomma, succede, anche se non dovrebbe.

Crescendo un po' di più, e partendo da questa riflessione, ho capito anche qualcos'altro.
L'apparenza, il modo in cui ci mostriamo agli altri, non si limita ad avere conseguenze solo dal punto di vista del giudizio estetico. Per cui, mostrarsi in un modo diverso da quello che si è, o per dirla con la metafora musicale, tentare di far suonare un violino come una chitarra elettrica, attrae intorno a noi persone che si rivelano compatibili con la nostra esteriorità, ma incompatibili con la nostra interiorità. Insomma, si rischia che una tipa da concerto di Uto Ughi, si ritrovi con un'orda di fan scatenati degli Iron Maiden.
Di conseguenza spesso ci capita di non sentirci a nostro agio con le persone che abbiamo intorno, o peggio ancora, di costruire la nostra vita con persone che sono completamente inadatte a noi.

Ad esempio, io sono una persona molto determinata, forte e decisa, ma allo stesso tempo amo la famiglia, sogno di averne una mia prima o poi. Sono molto romantica, non amo fare l'oca solo per esercitare il mio potere seduttivo sugli uomini, e mi disgustano i corteggiamenti fini a se stessi.
Preferisco stare sola e considerare solo gli uomini che persistono perché hanno un reale interesse verso di me, come persona, e che hanno voglia di costruire.
Ho capito che questo tipo di uomo non è affatto attratto dalla modella che pretendevo di essere; al contrario, il tipo di "uomo ideale" per me, è quello che ama un corpo formoso ed armonico, e più in generale, un aspetto fisico salutare e radioso. Il motivo forse è biologico e primitivo. La maternità.
L'uomo che voglio accanto a me, non ama l'aridità, ama la fertilità.
Perché la fertilità può essere coltivata, e dà frutti.
Avendo capito questo, mi sono resa conto che per anni ho rincorso il desiderio d'avere un corpo completamente incongruente con il mio carattere che faceva da calamita alle persone sbagliate.

E così, in virtù di queste riflessioni, sto ritrovando me stessa, dentro e fuori.
Non mi interessano più i chili, ma piuttosto mi interessa portarli bene. Non mi interessa entrare in una taglia 38. Adesso amo la mia 42. La amo perché parla di me. Come parla di me il mio modo di vestirmi, di curarmi, ma soprattutto di sorridere al mondo.
Voglio trasmettere quello che ho dentro. In una parola, voglio essere Radiosa.
E la luminosità non si misura in chili.
Mi sento Bella.
E tutti ci si possono sentire.
Perché tutti possono esserlo.

La chiave della nostra apparenza, sta nella nostra essenza.
Forzare la serratura con una chiave sbagliata, crea solo danni.
Se la chiave è quella giusta, girerà con naturalezza, e da lì, si aprirà un mondo di bellezza suprema e di armonia  totale con se stessi.

martedì 13 dicembre 2011

Claustrofobia

La verità è che dissimuliamo.
Crediamo che le esperienze passate ci abbiano lasciato degli insegnamenti.
Vero, può darsi. Ma l'insegnamento non è che una lezione. Valida in un determinato istante, valida in un certo contesto. 
Valida? Chi lo può sapere.
Ad ogni modo, una lezione non può impedirci di cadere ancora infinite volte, non può dirci come fare per rialzarci, ma forse ci illude soltanto d'averlo fatto, o di essere in grado di poterlo fare.
Ed il fatto che si cresca come individui grazie alle esperienze, non impedisce di cadere in quelle fragilità tipiche dell'inesperienza. 
Il vero problema, è che ce ne colpevolizziamo.
Cerchiamo giustificazioni ai nostri sentimenti, cerchiamo di soffocarli per non pagarne le conseguenze.
La perdita di controllo ci spaventa. La percepiamo come un enorme peccato.
Siamo incasellati nelle celle del rigore, e di giorno in giorno il nostro respiro si accorcia e si fa più affannato. Perché la claustrofobia ci logora. Per questo indossiamo un bel paio di lenti scure anche di notte: per nascondere l'orrore che abbiamo negli occhi.
Se proviamo ad evadere, siamo artisti, o folli. O entrambi.
Per il resto del mondo, inetti, improduttivi, inetti.
Emotivi. 
Come se l'emozione fosse una patologia.

venerdì 9 dicembre 2011

Paura di Me

Ho sempre amato la solitudine per la squisita introspezione alla quale mi sottoponeva.
Il vagabondaggio dei pensieri anestetizzati ed energici.
La riflessione pura nell'atemporalità.
Il flusso inesauribile dei concetti che si alimentano l'uno con l'altro.
Il dialogo della razionalità e dell'emotività. La lotta e la tregua. Lo scambio. L'influenza.

Ora mi temo.
Ho paura di pensare.
Razionalità ed emotività si sono fatte enormemente potenti. Ed io sono un arbitro debole.
I pensieri mi erodono e mi sfiniscono senza tregua.
Non mi arricchiscono; mi consumano.
Non si alimentano, non dialogano; si sovrappongono.
Voci dissonanti che urlano parole sconnesse nello stesso istante. Un'atemporalità divenuta puntuale.
Sincrono stridente.
Non mi rassicurano più, i miei pensieri.
Non mi rassicura più, la solitudine.
Mi fa paura. Mi fa paura pensare.

Sto scrivendo per non pensare.
E ad ogni punto, ad ogni pausa, ad ogni esitazione nella scrittura, sento un pensiero maledetto che si affaccia prepotente e viene ad insinuarsi nelle pieghe di queste righe.
Esorcizzo scrivendo.
Non posso smettere, devo continuare, per non restare sola.
Devo farmi coraggio e non pensare.
A quello che sto facendo, a quello che farò, a chi sarò, con chi.
Non devo cedere a questo inferno.

Sono esausta.
Sono tremendamente esausta.

C'è un punto in cui le aspirazioni da perseguire si fanno troppo alte e comportano rinunce troppo grandi.
C'è un punto in cui la differenza tra chi va avanti e chi si ferma è quello che si è disposti a perdere.
Ridimensionare gli obiettivi, non è fallimento. Ridimensionare gli obiettivi, non è incapacità di raggiungerli.
Ma forse solo sapersi fermare anche quando ci si potrebbe spingere oltre.
Perché la vita segue le leggi del contrappasso. Se da un lato dà tanto, dall'altro toglie altrettanto.
Sono alla ricerca dell'equilibrio.

Non voglio abbassarmi troppo, ma nemmeno bruciarmi le ali.

Eppure mi sento inetta. E la stima che gli altri hanno nei miei confronti mi spaventa.

Perché non capisco da dove venga, se la merito veramente.
O se fino ad ora mi sono solo mostrata degna di averla, ma in realtà c'è il vuoto.
E prima o poi questo vuoto si riempirà delle parole deluse e amare di chi mi volterà le spalle sdegnato.

lunedì 5 dicembre 2011

Cuore in Gola

Se ti sporgi dal balcone delle mie semplici parole, vedrai l'infinito groviglio dei miei pensieri.

giovedì 1 dicembre 2011

Tremo

Arido incubo di una terra morta.
Bouquet d'altri tempi capovolto e impiccato.
Petalo raggrinzito e deforme, porti ancora la smorfia della lunga agonia.
Pulviscolo annerito.
La fine con te, in te.
Ti sento. Ti temo.
Mi sfaldo dalle radici. Si schiudono le crepe del nulla.
Ti temo. Ti sento.
Rastrello la sterilità del pianto senza lacrime.
Tremo.