martedì 27 dicembre 2011

La chiave della bellezza

Ho passato periodi della mia vita in cui evitavo di bere un succo di frutta, ossessionata dal numero delle calorie e dalla paura di ingrassare.
Ho passato periodi della mia vita in cui continuavo a perdere peso (e felicità) per sentirmi degna di un canone sciorinato da una società del benessere che la crisi non la sente (o quantomeno non la sente abbastanza) visto che rimane ancorata ai suoi non-valori, piuttosto che riscoprirne di veri ed autentici.
Ho passato periodi della mia vita in cui la sera a letto mi mettevo a pancia in sotto per sentire quanto le ossa del bacino fossero prominenti ed affondassero nel materasso. 
Poi mi mettevo di profilo e mi carezzavo la pancia, per sentire se fosse aumentata, diminuita, sperando di trovarla completamente piatta. 
Alla fine mi mettevo supina, per vedere come sarei dovuta essere. Ossa sporgenti e addome rientrante.

Nonostante questo c'era qualcosa che non andava. 
Sempre. 
Perché avrei potuto essere più tonica, più alta, più magra. 
Meno golosa, meno formosa, meno donna.
I miei vent'anni, li ho passati così.
Impazzendo dietro ad un'ideale che manderebbe fuori di testa anche la persona più bella ed equilibrata della terra.

La cosa più tremenda è che quando si vive una determinata realtà e si crede che un determinato standard sia quello giusto, niente e nessuno al di fuori di quel contesto può convincerci del contrario. 
Vivere nella dimensione photoshop, toglie dimensione al nostro essere.
Nello specchio non vediamo noi stessi, ma l'immagine di noi stessi, uno scatto intriso di difetti da correggere.
La disperazione arriva nel momento in cui ci accorgiamo che accanto allo specchio non c'è il tasto "modifica".
E a correggerci non c'è nessun pennello, né il timbro clone. E per le correzioni che vogliamo noi, anche le diete più inumane (e le abbiamo provate tutte) si rivelano insufficienti.

Quando si tocca il fondo sperando di raggiungere un ideale, qualunque esso sia, così distante da quello che siamo, si rischia veramente grosso. Si rischia in salute, in umore, in armonia. Si rischia di sprecare giorni preziosi della nostra vita in una sfida sfiancante, ma soprattutto priva di ogni logica.

Rivedendo tutto dall'esterno, e a distanza di anni, mi rendo conto di quanto tutto questo sia pericoloso.
E purtroppo so di non essere stata né la prima né l'ultima a vivere esperienze di questo tipo.
Posso dire d'aver avuto una gran fortuna, perché prima che la situazione diventasse di proporzioni preoccupanti, una serie di eventi intorno a me e dentro di me hanno giocato a mio favore: mi sono allontanata dalle cause del mio male e allo stesso tempo ho potuto vedere la realtà da altri miliardi di prospettive che mi hanno mostrato l'irrilevanza del mio accanimento verso un obiettivo futile e in fin dei conti nemmeno troppo edificante.

Nel mio percorso di crescita, ho capito che la bellezza non è una e non proviene solo dal corpo.
Esistono miliardi di bellezze che sono date dall'essenza della persona, dal far emergere al meglio la propria personalità attraverso il corpo.
Il corpo è uno strumento. Saperlo suonare bene richiede pratica ed esercizio, perché dobbiamo entrarci in confidenza, renderlo davvero nostro e conoscerne ogni angolo, per poterlo amare.
La nostra sofferenza nasce quando, avendo un violino, piuttosto che concentrarci per donare a noi stessi e agli altri un concerto d'archi meraviglioso, vorremmo che uscisse il suono distorto di una chitarra elettrica.

Succede perché magari ci hanno convinti che la chitarra elettrica sia l'unico strumento in grado di suonare bella musica, succede perché ci dicono che il violino è fuori moda... insomma, succede, anche se non dovrebbe.

Crescendo un po' di più, e partendo da questa riflessione, ho capito anche qualcos'altro.
L'apparenza, il modo in cui ci mostriamo agli altri, non si limita ad avere conseguenze solo dal punto di vista del giudizio estetico. Per cui, mostrarsi in un modo diverso da quello che si è, o per dirla con la metafora musicale, tentare di far suonare un violino come una chitarra elettrica, attrae intorno a noi persone che si rivelano compatibili con la nostra esteriorità, ma incompatibili con la nostra interiorità. Insomma, si rischia che una tipa da concerto di Uto Ughi, si ritrovi con un'orda di fan scatenati degli Iron Maiden.
Di conseguenza spesso ci capita di non sentirci a nostro agio con le persone che abbiamo intorno, o peggio ancora, di costruire la nostra vita con persone che sono completamente inadatte a noi.

Ad esempio, io sono una persona molto determinata, forte e decisa, ma allo stesso tempo amo la famiglia, sogno di averne una mia prima o poi. Sono molto romantica, non amo fare l'oca solo per esercitare il mio potere seduttivo sugli uomini, e mi disgustano i corteggiamenti fini a se stessi.
Preferisco stare sola e considerare solo gli uomini che persistono perché hanno un reale interesse verso di me, come persona, e che hanno voglia di costruire.
Ho capito che questo tipo di uomo non è affatto attratto dalla modella che pretendevo di essere; al contrario, il tipo di "uomo ideale" per me, è quello che ama un corpo formoso ed armonico, e più in generale, un aspetto fisico salutare e radioso. Il motivo forse è biologico e primitivo. La maternità.
L'uomo che voglio accanto a me, non ama l'aridità, ama la fertilità.
Perché la fertilità può essere coltivata, e dà frutti.
Avendo capito questo, mi sono resa conto che per anni ho rincorso il desiderio d'avere un corpo completamente incongruente con il mio carattere che faceva da calamita alle persone sbagliate.

E così, in virtù di queste riflessioni, sto ritrovando me stessa, dentro e fuori.
Non mi interessano più i chili, ma piuttosto mi interessa portarli bene. Non mi interessa entrare in una taglia 38. Adesso amo la mia 42. La amo perché parla di me. Come parla di me il mio modo di vestirmi, di curarmi, ma soprattutto di sorridere al mondo.
Voglio trasmettere quello che ho dentro. In una parola, voglio essere Radiosa.
E la luminosità non si misura in chili.
Mi sento Bella.
E tutti ci si possono sentire.
Perché tutti possono esserlo.

La chiave della nostra apparenza, sta nella nostra essenza.
Forzare la serratura con una chiave sbagliata, crea solo danni.
Se la chiave è quella giusta, girerà con naturalezza, e da lì, si aprirà un mondo di bellezza suprema e di armonia  totale con se stessi.

martedì 13 dicembre 2011

Claustrofobia

La verità è che dissimuliamo.
Crediamo che le esperienze passate ci abbiano lasciato degli insegnamenti.
Vero, può darsi. Ma l'insegnamento non è che una lezione. Valida in un determinato istante, valida in un certo contesto. 
Valida? Chi lo può sapere.
Ad ogni modo, una lezione non può impedirci di cadere ancora infinite volte, non può dirci come fare per rialzarci, ma forse ci illude soltanto d'averlo fatto, o di essere in grado di poterlo fare.
Ed il fatto che si cresca come individui grazie alle esperienze, non impedisce di cadere in quelle fragilità tipiche dell'inesperienza. 
Il vero problema, è che ce ne colpevolizziamo.
Cerchiamo giustificazioni ai nostri sentimenti, cerchiamo di soffocarli per non pagarne le conseguenze.
La perdita di controllo ci spaventa. La percepiamo come un enorme peccato.
Siamo incasellati nelle celle del rigore, e di giorno in giorno il nostro respiro si accorcia e si fa più affannato. Perché la claustrofobia ci logora. Per questo indossiamo un bel paio di lenti scure anche di notte: per nascondere l'orrore che abbiamo negli occhi.
Se proviamo ad evadere, siamo artisti, o folli. O entrambi.
Per il resto del mondo, inetti, improduttivi, inetti.
Emotivi. 
Come se l'emozione fosse una patologia.

venerdì 9 dicembre 2011

Paura di Me

Ho sempre amato la solitudine per la squisita introspezione alla quale mi sottoponeva.
Il vagabondaggio dei pensieri anestetizzati ed energici.
La riflessione pura nell'atemporalità.
Il flusso inesauribile dei concetti che si alimentano l'uno con l'altro.
Il dialogo della razionalità e dell'emotività. La lotta e la tregua. Lo scambio. L'influenza.

Ora mi temo.
Ho paura di pensare.
Razionalità ed emotività si sono fatte enormemente potenti. Ed io sono un arbitro debole.
I pensieri mi erodono e mi sfiniscono senza tregua.
Non mi arricchiscono; mi consumano.
Non si alimentano, non dialogano; si sovrappongono.
Voci dissonanti che urlano parole sconnesse nello stesso istante. Un'atemporalità divenuta puntuale.
Sincrono stridente.
Non mi rassicurano più, i miei pensieri.
Non mi rassicura più, la solitudine.
Mi fa paura. Mi fa paura pensare.

Sto scrivendo per non pensare.
E ad ogni punto, ad ogni pausa, ad ogni esitazione nella scrittura, sento un pensiero maledetto che si affaccia prepotente e viene ad insinuarsi nelle pieghe di queste righe.
Esorcizzo scrivendo.
Non posso smettere, devo continuare, per non restare sola.
Devo farmi coraggio e non pensare.
A quello che sto facendo, a quello che farò, a chi sarò, con chi.
Non devo cedere a questo inferno.

Sono esausta.
Sono tremendamente esausta.

C'è un punto in cui le aspirazioni da perseguire si fanno troppo alte e comportano rinunce troppo grandi.
C'è un punto in cui la differenza tra chi va avanti e chi si ferma è quello che si è disposti a perdere.
Ridimensionare gli obiettivi, non è fallimento. Ridimensionare gli obiettivi, non è incapacità di raggiungerli.
Ma forse solo sapersi fermare anche quando ci si potrebbe spingere oltre.
Perché la vita segue le leggi del contrappasso. Se da un lato dà tanto, dall'altro toglie altrettanto.
Sono alla ricerca dell'equilibrio.

Non voglio abbassarmi troppo, ma nemmeno bruciarmi le ali.

Eppure mi sento inetta. E la stima che gli altri hanno nei miei confronti mi spaventa.

Perché non capisco da dove venga, se la merito veramente.
O se fino ad ora mi sono solo mostrata degna di averla, ma in realtà c'è il vuoto.
E prima o poi questo vuoto si riempirà delle parole deluse e amare di chi mi volterà le spalle sdegnato.

lunedì 5 dicembre 2011

Cuore in Gola

Se ti sporgi dal balcone delle mie semplici parole, vedrai l'infinito groviglio dei miei pensieri.

giovedì 1 dicembre 2011

Tremo

Arido incubo di una terra morta.
Bouquet d'altri tempi capovolto e impiccato.
Petalo raggrinzito e deforme, porti ancora la smorfia della lunga agonia.
Pulviscolo annerito.
La fine con te, in te.
Ti sento. Ti temo.
Mi sfaldo dalle radici. Si schiudono le crepe del nulla.
Ti temo. Ti sento.
Rastrello la sterilità del pianto senza lacrime.
Tremo.

domenica 27 novembre 2011

Pensieri in Ritardo

Scrittura contratta.
Me ne sto rendendo conto.
I miei periodi lunghi si sono infeltriti.
Sarà che mi sta entrando nelle vene il ritmo metropolitano.
I cambi di linea sotterranei ritmati dal tacchettio svelto di chi vive in ritardo non appena apre gli occhi.
Di chi vive il ritardo anche quando è in anticipo.
E allora anche i miei pensieri calpestano veloci le scale ed i lunghi corridoi del pensiero. 
Corrono su nastri trasportatori chilometrici, che terminano bruschi lasciando d'un colpo i trasportati con l'onere di dover camminare che con le proprie gambe. 
Dimezzando la velocità. 
Creando ulteriore ritardo.
Inciampano e cadono rovinosamente quando sono privati inaspettatamente dei loro tapis roulant.
Ed io sono lì a raccoglierli.
O meglio, a raccoglierne i brandelli sconnessi.
Non c'è più tempo per articolare il pensiero. 
Lampi improvvisi e fugaci. Ma densi. Intensi.
Li colgo. Li raccolgo, prima che sfuggano.
Li annoto.
Ma non riesco a distenderli sulla superficie della parola.
Li lancio. Schizzi di vernice fresca e già secca.
Li lancio. Dopo averli raccolti, li lancio. Qui.

sabato 26 novembre 2011

Cristalli di lacrime

Tortura.
Sollievo.
Pace.
Tormento.
Condizione sinusoidale.
Oscillante esistenza.

Non amabile.
Amara e ispida creatura.
Troppo fragile da trasportare.
Troppo pesante da sostenere.

Cerebrale.
Eppure sente freddo.
Gelo acre. Gelo malinconico. Gelo.

Fiorisce la condivisione.
Nell'aridità della solitudine.
Un'illusione.
Risveglio.
Arsura.
Cristalli di lacrime.

venerdì 11 novembre 2011

Primordiale

Credimi, vorrei.
Vorrei liberarti dall'inestricabile groviglio del mio essere.
Vorrei.
Vorrei recidere i vasi dove le nostre essenze si mescolano e comunicano.
Malgrado tutto.
Vorrei.
Ma forse non è possibile.
Forse non vorrei.
Forse non voglio.
Magari non vogliamo.

Elasticità.
Lontananza nel tempo e nello spazio.
Eppure presenza nell'assenza.
Da sempre. Prima, Ora, Poi.

Un'immagine sola legata a te.
Posizione fetale.
L'origine. La calma.
La magia onirica che nel sonno lenisce.
Primordiale.

Sublime arte della pazienza.
Inquietudine e meraviglia.
Sentore d'illusione e speranze di verità.
Vivi, malgrado tutto.

lunedì 7 novembre 2011

Vulcano

Vitalità, intraprendenza, slancio.
Idee, dinamismo, apertura.

Ad ogni momento di nausea e di disgusto corrisponde una crescita. 
Uno sviluppo. Una tensione verso l'alto.
L'ho sperimentato sulla mia pelle. 
Dall'oggi al domani. 
Ho sentito l'invasione di un disagio putrido e maleodorante irrompermi da dentro.
L'ho sentito pervadermi in ogni singola cellula del mio corpo.
Lo sto sentendo evaporare lentamente. Dissolversi nell'aria.

Sono impaziente. Scalpitante.
Le scarpe che indosso sono troppo strette. 
Sono almeno un paio di numeri in meno di quelle che vorrei.
Ci sono stati momenti in cui ho pensato che mi avrebbero mandato in cancrena i piedi.
Momenti in cui ero convinta che mi avrebbero massacrato per la vita.

Momenti in cui avrei voluto strapparmele a morsi, ma sarebbe stato come addentare una lastra d'acciaio inossidabile: avrei sentito l'atroce stridio dei denti sulla superficie gelida e impenetrabile. Ed oltre al podologo avrei avuto bisogno anche di un bravo dentista.

Devo sbarazzarmi della "cendre latine" e della "poussière greque", caro Charles, e forse tu potrai capirmi.

Un potente aspirapolvere. Il migliore in commercio. S'il vous plaît.
Non sia mai che le rinneghi. Anzi, le rispetto. 
Ma "cenere" e "polvere" non sono esattamente le parole chiave per il mio futuro.


Se dovessi usare una parola per la mia vita ora? Vulcano.

Tremblements de terre, ebollizione di pensieri, tentativi di controllo. 

Esplosioni di rabbia e di idee en même temps.

Lava che cola sul mio corpo. Brucia. Ma mi fa sentire viva.
Amerò queste ustioni. Amerò quelle cicatrici.


Ho voglia di correre verso la meta. Ho voglia di trovare la mia strada. Le mie strade.
Sono molteplice. Sempre lo sono stata. Sono estrema e molteplice.

Temo che dal mio tutto non riesca a tirar fuori niente.
Temo. Ma so che non sarà così. 

Perché fino ad ora, anche quando temevo il niente, tutto è arrivato.
Perché del niente non mi accontento.
Ed è proprio quando la crainte del niente si fa insostenibile, che riesco ad attingere al tutto.

Oggi ho pensato di "classificarmi".
Per ruspare in mezzo al tutto. Alla ricerca della razionalità e della logica che tanto amo.

Mi sono detta: "Quali sono le prime 3 parole che ti vengono in mente se pensi a te e a quello che vuoi?".
Senza pensarci. Le prime tre.


Scrivere.
Francia.
Make up.




C'est bizarre.
La terza poi, in rapporto alle altre due, sembra una chute de style senza pari.
Eppure lo so, troverò il modo di combinarle tutte e tre. Per farne il mio futuro.




(Beh di certo non scriverò un libro sulla Ville Lumière con l'eye liner, anche se sarebbe quantomeno originale.)

mercoledì 26 ottobre 2011

Ceralacca

Nero su bianco.
Per vedere.
Per toccare.
Per credere.
Nero su bianco.
Non vola.
Non scappa.
Non muore.
La mia vita.
Nero su bianco.
La mia storia.
Nero su bianco.
Le comparse.
Nero su bianco.
Lo scenario.
Nero su bianco
Tutto nero su bianco.

Non può scapparmi la vita dalle mani. Se la scrivo.
Non può sfuggirmi fra le dita. Se la rileggo.
Scaffali di vita. 
Ripiani impolverati. Ripiani roventi.
Ripiani usurati. Ripiani spenti.
Tomi di vita.
Da far leggere. Da raccontare. Da ricordare.

Vivo scrivendo. Scrivo vivendo.
A chi incrocia il mio cammino. 
A chi lo percorre con me.
A chi se ne va, e a chi torna.
A me.

Epistolario.

venerdì 14 ottobre 2011

Etouffée

Sussurro discreto e lontano di forze inaudite e assordanti.
Sopito e ben noto copione di devastanti brividi primitivi.
Gelido tepore di un apocalittico incendio estinto.


Non sarà altro che l'eco confuso e attutito di quello che è stato.

lunedì 10 ottobre 2011

Respira

Apnea.
Disperato, assoluto bisogno d'ossigeno.
Polmoni in crisi.
Occlusione.
Processo d'inspirazione fallito.
Riavvia il sistema.
Ritenta, sarai più fortunato.
Non hai vinto.

Multiball.
Velocità supersonica.
Angoli e trappole.
Perdita del controllo.
Sfrecciano le palline verso il fondo.
Tilt. Tilt. Tilt.
Game Over.

Scalata.
Scarponi e corde.
Ferite. Escoriazioni. Graffi.
Sudore.
Arsura.
Dolore.
Asciugati.
Bevi.
Curati.
Schiva le frane.
Vinci le frane.
Spacca la roccia.
Guarda il cielo.

Respira il cielo.
Vivi. Corri.
Respira il vento.
Vivi. Vola.
Respira l'anima.
Vivi. Cresci.
VIVI.

venerdì 16 settembre 2011

ENTUSIASMO INQUIETO A PARIGI

Parigi. 
Prima della partenza era il nome di una grande capitale. 
All'aeroporto era una destinazione.
Ora sono strade, negozi, persone, edifici. 
Realtà, vita quotidiana.
Una settimana. 
Per vedere i fulcri del turismo.
Per districarmi tra i diversi uffici.
Per capire che effettivamente ora è qui che vivo.
Ed ora, dopo una settimana, è arrivato il momento giusto per scrivere qui.

Potrei elencare una babele di stati d'animo che in me si incontrano e si scontrano.
Dalla gioia incontenibile nel passeggiare per le stradine di Montmartre, fino al respiro mozzato nell'istante in cui mi sono trovata sotto la Tour Eiffel.
Dal senso di spaesamento ed anche di inettitudine nel constatare che sono una studentessa di lingue, studio il francese con risultati eccellenti da più di dieci anni, ma la lingua parlata non si impara sui libri, e qui sono una principiante che manca totalmente di fluidità, fino allo scoraggiamento nello scoprire che le Università invece di aiutare gli studenti li ostacolano in ogni modo, dalla burocrazia alla logistica.

Eppure, anche se potrei parlare nei dettagli di tutto questo, sento il bisogno di parlare di me stessa, dell'influenza che questa esperienza sta avendo dentro di me, più che dell'esperienza in sé.

Appena arrivata ho avuto la sensazione di riprendere in mano la mia vita, di ritrovare me stessa, di vivere per me. Quei grandi respiri a pieni polmoni che ti fanno sentire libera, autonoma, intraprendente, indipendente.
Mi sono sentita leggera, ecco. Come se mi fossi disfatta di tutte le mie inquietudini durante il volo. Come se progressivamente avessi lasciato la presa che mi legava a tutto quello che mi provocava malessere.

Questo entusiasmo purtroppo oggi è svanito. Così d'improvviso. 
Dal punto di vista professionale.
Ho paura, di nuovo, di non riuscire ad arrivare dove voglio, e in alcuni momenti temo di non sapere nemmeno con troppa certezza dove voglio arrivare. Temo di aver sbagliato i percorsi per raggiungere i miei obiettivi, temo di aver perso tempo ed energie focalizzandomi su bersagli sfocati ed effimeri.
Dal punto di vista sentimentale.
Sento un gran bisogno di essere amata. Temo che l'indipendenza e l'intraprendenza finiranno per rendermi una persona fredda e sola. Ed invece avrei bisogno d'un giusto compromesso. Di qualcuno che mi sostenga nei miei progetti, ma che abbia la capacità e il desiderio di starmi accanto. Ho bisogno di costruire. Non solo dal punto di vista professionale, ma anche e soprattutto dal punto di vista sentimentale. Non vorrei che uno sconosciuto entrasse nella mia vita, conoscesse i lati più fragili di me e poi sparisse. Ho bisogno di complicità, di stare insieme sul serio, di condividere e di farsi forza reciprocamente, per creare un futuro insieme. Temo di non riuscire in tutto questo. Temo di essere troppo complicata perché qualcuno possa leggermi fino nelle vene, temo che se qualcuno fosse davvero in grado di farlo scapperebbe lontano da me, perché dietro i miei sorrisi ed il mio brio, si nasconde anche una persona profonda che può risultare forse poco interessante o addirittura noiosa.

Non so come tornerò dopo cinque mesi qui. Spero più consapevole. Spero con qualche soluzione in più per queste mie preoccupazioni. Spero. Oggi non posso far altro che sperare. Disincantata e impaurita.

mercoledì 7 settembre 2011

SOTTOVUOTO

Maglioni e pensieri in sottovuoto.
Nonostante i secondi pesino molto più dei primi, dovrei essere nei limiti consentiti.
Ormai le valigie sono chiuse.
L'Italia la rivedrò tra circa cinque mesi.
Domani è il mio ultimo giorno qui.
Dopodomani volerò verso uno dei primi sogni della mia vita.

Fra i banchi di scuola mi sembrava un'impresa colossale ed irraggiungibile.
Fantasticavo sui grandi nomi del passato che percorrevano le austere sale della Sorbona.

Oggi, è un piccolo tassello da aggiungere alle mie esperienze e alla mia formazione.
A piccoli passi ho percorso le mie strade. Mi sono prefissata delle mete intermedie. Tante ancora ne dovrò raggiungere.

Eppure una di queste mi vedrà arrivare tra due giorni.
Si chiama Parigi. Si chiama Sorbonne.

Ne sto prendendo coscienza in questo momento.
I miei nervi tesi si stanno lentamente rilassando.
Lentamente dalla testa, alle spalle, fino alle braccia, il busto e le gambe, la tensione mi sta abbandonando.
Le tensioni mi stanno abbandonando.
Sto riprendendo in pugno le mie emozioni.
Quelle che avevo cercato fino a questo momento di reprimere e dominare, in favore di una concentrazione assoluta che non potevo permettermi di perdere.

E proprio ora, in questo processo lento e graduale di distensione, assaporo la realtà che mi aspetta. Realizzo che si sta aprendo una nuova pagina della mia vita, da riempire di sfumature e contrasti.
Percepisco i timori e l'impazienza. Le aspettative e le potenziali delusioni.

Ma soprattutto prendo coscienza che non si tratta più di un nome in testa ad una graduatoria. Ma di me in una nuova città, in una grande università.

Rivedo le scene dell'ultimo mese che ho trascorso. Un concentrato di eventi che si confondono e si accavallano. La difficoltà nel tenere le redini di una vita che sembrava solo voler andare a briglia sciolta:

- L'ostilità di un mondo eccessivamente macchinoso e privo di ogni senso di logica, spaventato dal pensiero ed ancorato a procedure assurde.
- Volti che mi erano vicini e mi dimostravano amore che d'improvviso sono evaporati lasciandomi l'amaro di un addio che non ho potuto nemmeno metabolizzare.
- La sensazione d'aver perduto tutto, e la serenità nel constatare un esplosione di affetti disposti ad accorrere in mio soccorso per scaldarmi il cuore e portarmelo in salvo ad ogni costo, con l'obiettivo di farlo arrivare integro a questa nuova esperienza.

In questo momento di riflessione vorrei abbracciare chi ha avuto il coraggio, la pazienza, la voglia, il desiderio di starmi accanto. 
Chi mi ha vista piangere, nascondere le lacrime, ridere, e far finta di ridere. 
Chi mi ha vista far finta di niente quando mi sentivo morire dentro e pur capendolo è stato al mio gioco. 
Chi mi ha vista far finta di niente quando mi sentivo morire dentro e mi ha tirato fuori dall'anima i fantasmi più terrificanti stipati nelle pieghe del mio cuore.
Chi mi ha donato la luce per incoraggiarmi ed illuminare il mio cammino.

sabato 3 settembre 2011

AMORE INDUSTRIALE

Non ho più voglia di persone controverse. 
Pensieri lugubri. 
Amori vissuti col freno a mano. 
Con la paura di mostrarsi felici. 
Con un senso di colpa nel vivere la gioia di stare insieme. 
Con un continuo slalom per evitare tutte quelle manifestazioni stupide "da innamorati".
Che però nella loro stupidità mostrano tutta la bellezza del lasciarsi andare all'amore.

Non bisogna aver paura di farsi leggere l'amore e la gioia negli occhi.

Voglio vivere un amore di quelli stupidamente veri.
Quegli amori fatti anche di serate romantiche, di pensieri gentili, di foto abbracciati, di messaggi d'amore, di effusioni e di baci appassionati in mezzo alla gente.

L'amore è anche questo.
E non bisogna evitarlo perché "lo fanno tutti".
L'amore è sentirsi il cuore leggero.


Sono espressioni di serenità, di concordia della coppia col mondo.

Se si vive apprezzando solo il degrado della condizione umana, rifuggendone gli aspetti armoniosi ed assolati, e si pretende di far germogliare una relazione di coppia in questo contesto, anche la relazione ne risulterà influenzata, degradandosi a sua volta. 


Se per ogni sorriso si pensa ad una lacrima, se per ogni gesto si pensa all'inutilità di un gesto, se per ogni parola si pensa al vuoto della parola, l'amore non fiorisce, e la recita di un amore industriale che vive nella ruggine, verrà corroso da quest'ultima fino alla morte.

L'amore non è ruggine. L'amore è salute, vigore, entusiasmo.

Anche l'animo più maledetto, prima o poi dovrà accettarlo.

martedì 30 agosto 2011

PROMESSE

Chi ti ama c'è sempre, c'è prima di te, c'è prima di conoscerti.
Margaret Mazzantini - Non ti muovere
Vale la stessa cosa anche per chi ti ha amato davvero.
E quando dico "chi ti ha amato davvero" intendo quel sentimento raro, introvabile, intenso, assoluto. Che magari poi è svanito, ma perché si è trasformato, perché i percorsi di vita l'hanno sformato. Svanito. Non Sparito.
Ho avuto l'ennesima dimostrazione, che qualsiasi sia il mio problema, e quando dico qualsiasi mi riferisco davvero al ventaglio completo dei problemi che la vita ti pone davanti, c'è solo una persona nella mia vita che lo capisce prima di farmi parlare, che nonostante questo mi costringe a parlarne, che dopo che ne ho parlato sa come risollevarmi e come consolarmi. E solo questa persona è disposta a tutto pur di venirmi in soccorso, ovunque io sia, con chiunque io sia. Senza risparmiarsi.
L'unica persona che a distanza di anni continua a dirmi quel "finché non muoio io per te ci sarò" che mi fa tanto sorridere, perché mi imbarazza e mi impaurisce pensare alla morte, e a quella promessa che continua a rinnovarmi senza pretendere nulla in cambio.

Non mi è stata dedicata questa canzone, ma ne ho ricevuto il contenuto. Quello che si legge senza conoscerne la melodia. Il senso. L'Essenza.

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore,
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce
per non farti invecchiare.
E guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale,
ed io, avrò cura di te.
Vagavo per i campi del Tennessee
(come vi ero arrivato, chissà).
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare.

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.
Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza.
I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi,
la bonaccia d'agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
TI salverò da ogni malinconia,
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te...
io sì, che avrò cura di te

Franco Battiato - La cura




Ho ricevuto dopo tanto tempo un abbraccio sincero. E non m'importa che sia amore, affetto o che altro.
Quegli abbracci che ti curano per l'assoluto che racchiudono. 
E ricevendone uno vero, ho preso coscienza di quanto fossero falsi quelli che ho avuto fino ad ora.

domenica 28 agosto 2011

IL PROSSIMO, LO SPOSO.


Il prossimo, lo sposo.

Un pensiero assurdo, per la filosofia di vita che mi ero edificata ed imposta.


Un pensiero assurdo. Ma frutto di necessità e analisi introspettive che come al solito mi colgono nei momenti più inopportuni, ma che si rivelano preziose.

Ho capito nuovi aspetti di me.
Ho capito che non riesco ad avere relazioni poco importanti. Non ne cerco, e piuttosto preferisco stare sola.

Ho capito che se mi prendo un impegno, è perché mi innamoro. E quando mi innamoro, sono inamovibile. Sono una roccia. 

Ho capito che le storie importanti che ho avuto potenzialmente sarebbero potute durare per sempre da parte mia, ma sono finite sempre per debolezze dall'altro lato. Perché sono forte, nella vita come nella coppia. 
Ma sono debole nel momento dell'addio. Perché una volta che mi sono innamorata è per sempre. E la lotta più dura è quella con me stessa per "disinnamorarmi". 

Sono stoica nelle difficoltà di coppia. 

Penso che non ci possano essere problemi insormontabili o sfide impossibili, ma solo l'incapacità di affrontarle. E l'incapacità per me è un concetto che non esiste. Ogni groviglio ha un suo capo. L'incapacità si manifesta nel momento in cui si cede nella ricerca. Ed io persevero, ma non mi arrendo, mai.

Per questo, il prossimo lo sposo.
Perché ho capito che se da parte mia il "Sì" è una convenzione, perché il "per sempre" riuscirei ad onorarlo senza dirlo di fronte ad un sindaco o ad un prete, per molte persone il "Sì" è l'atto di coraggio, la garanzia che un impegno è preso, e che verrà rispettato.

Io non posso tollerare un altro addio.
Per questo, il prossimo lo sposo.
Perché deve garantirmi che sarà per sempre. 
E che non ci sarà quel giorno in cui due anime che hanno condiviso di tutto, da un istante all'altro si ritrovino lontane e sconosciute. 
Perché non voglio più che arrivi quella mattina in cui mi sveglierò e mi ritroverò sola con una valanga di ricordi che fino al giorno prima erano momenti veri, concreti.

venerdì 26 agosto 2011

Profezie

Dopo appena due giorni, la mia fortezza è stata colpita. Devastata. Rasa al suolo. Saccheggiata.


Questo scrivevo Lunedì.

Tutte le perplessità che avevo si erano risolte nel prendere coscienza di essere innamorata, di non negarmelo più.
A due settimane esatte dalla partenza con una valigia da riempire e una vita da traslocare, con tanti pensieri, preoccupazioni, paure, avevo riconosciuto che lui fosse il mio punto fisso. Ero reticente. Perché sono una Valchiria. Autonoma, battagliera, coraggiosa.

Quarantotto ore dopo, le sue perplessità si sono risolte nel modo inverso.
Ed io sono sola. Con una valigia da riempire e una vita da traslocare, con tanti pensieri, preoccupazioni, paure, e una storia a cui finalmente ero riuscita ad abbandonarmi, finita.

In tutto questo lui mi abbracciava e mi baciava come non aveva fatto mai, come non volesse lasciarmi andare. Forse per dimostrare a se stesso il contrario di quello che pensa. Ed io ci morivo dentro quegli abbracci, non riuscivo a divincolarmi e dirgli di no, mi ci abbandonavo, come non mi avesse detto nulla.

Mai più, mi ero ripromessa in passato, nessun uomo avrebbe dovuto avere su di me il potere di farmi soffrire.
Eppure brucia. E sono sola. E nella mia valigia non so che mettere. Perché per ora è colma del dolore che provo in questo momento.

mercoledì 24 agosto 2011

Ipersensibilità e Insensibilità

Siamo complicate, è vero. Ed è il motivo per cui siamo ipersensibili nei confronti dell'universo che ci circonda.
Il sesto senso femminile è proprio questo.
Un grande strumento ma anche un grande fardello.
Diamo per scontato che la nostra sensibilità ce l'abbiano anche le persone che ci sono accanto. Invece ci scontriamo con comportamenti che urtano le nostre necessità, che stridono e si rivelano inopportuni, che ci dimostrano con quanta incuria e disattenzione i nostri sentimenti e stati d'animo siano manovrati.

Oggi ho capito, o meglio, mi è tornato in mente, che in realtà siamo tutti soli. Con i nostri problemi, con i nostri progetti, con la nostra vita. Le persone che si incontrano possono essere più o meno importanti, diciamo anche fondamentali, ma sono tutte di passaggio. Per questo, non bisogna mai smettere di investire su se stessi; nelle difficoltà, quando ci troviamo a percorrere le strade dissestate del nostro cammino, nessuno potrà mai capire il nostro disagio quanto noi stessi. Nessuno potrà aiutarci come noi stessi. Nessuno vorrà farlo al posto nostro.

E soprattutto può accadere di ritrovarci soli e spaventarci. Perché non eravamo preparati, perché non ce lo saremmo mai aspettato. Eppure, in quel momento, anche fosse un quarto d'ora nero, nessuno ci tende la mano. E allora, volenti o nolenti, anche se siamo a terra, facciamo forza sulle mani e ci rialziamo, con le escoriazioni sul palmo e i segni dell'asfalto ancora fresco. Nessuno ci disinfetterà.

Amerò me stessa, per sempre.
Conterò su me stessa, per sempre.
Sarò con me stessa, per sempre.

lunedì 22 agosto 2011

FORTEZZA SOTTO ASSEDIO

Da qualche giorno mi sento più vulnerabile.
Ai sentimenti intendo.
Se è vero che da tempo ho preso coscienza del fatto di essermi di nuovo innamorata, dall'altra, la mia parte razionale ha sempre inibito i pensieri più teneri, l'abbandono mentale e totale ai sentimenti. Insomma, innamorata sì, ma con la corazza. Ho tenuto a freno il mio istinto di tenerezza, ho anteposto me stessa al resto del mondo, ho spazzato via il sentimentalismo provandone quasi disgusto. Mi sono ripromessa di non commettere gli stessi errori del passato. L'ho fatto con convinzione, certa di non dovermi esporre troppo, non con gli altri, ma con me stessa. Di non dovermi esporre troppo nei momenti introspettivi. Ripetendomi che sì, è vero, sto con una persona, ma prima di tutto sto bene da sola. 
Sono fiera del mio percorso. Perché ora vivo il rapporto di coppia seguendo un'impostazione completamente diversa rispetto al precedente, e dunque lo percepisco sempre come nuovo.

Eppure la mia vera natura ora sta riemergendo. Mi lancia segnali sempre più decisi. Perché anche se il mondo mi vede come una Valchiria, in realtà il coraggio e la forza in battaglia, nascondono anche un latente desiderio di trovare tranquillità, affetto e sicurezze. Mi attira il focolare, mi sciolgo in un abbraccio, e ho bisogno di sentire che l'altro c'è, è presente e non mi abbandonerà. Nel mio vagare ho bisogno di punti fissi. Come ogni donna, per quanto sia reticente a confessarlo, la presenza di un uomo che mi dimostri il suo amore è il più efficace fra i lenitivi per le mie inquietudini.
Sto prendendo coscienza di questo mio nuovo cambiamento. Lo percepisco nei momenti in cui i miei pensieri vagano liberi ed incensurati. 

Ed ho paura. 
Perché ormai lo so bene, quando i muri della fortezza crollano, l'offensiva sarà devastante. 
E ad ogni torre di guardia rasa al suolo, corrisponde una pugnalata al cuore.

domenica 24 luglio 2011

QUATTRO GIORNI

Quattro giorni.
Quattro giorni che non esco di casa.
Quattro giorni che vegeto.
Quattro giorni che qualsiasi cosa mi venga in mente non riesco a trovare la voglia di farla.
Quattro giorni che non voglio alzarmi.
Quattro giorni che aspetto con trepidazione l'ora di andare a dormire.
Quattro giorni.

Il mio malumore dilaga inquinando ogni piega della mia esistenza.
E la cosa che più mi infastidisce è la totale assenza di giustificazioni per questo stato d'animo ignobile.

Quattro giorni fa ho chiuso con successo il mio anno accademico
Quattro giorni fa ho traslocato e sono ritornata nella mia città. 

Con la prospettiva lucente ed invitante di un semestre a Parigi, qualcosa che ho sempre sognato. Sempre. Davvero.
Con una persona accanto che sì, è presente e ci tiene a me, ma lo fa con discrezione, lasciandomi la libertà di volare alto per inseguire le mie ambizioni. Il tipo di rapporto di cui avevo bisogno.

Eppure sento un accordo stonato che stride costantemente con la sinfonia armonica del mio incedere, procedere, e a volte semplicemente cedere, in questo mondo a volte glorioso e a volte infame.

Penso che forse potrei uscire. Ma il solo pensiero mi dà la nausea. Per andare dove? A fare cosa? E perché?
Penso che forse potrei cercare qualcuno. Ma chi? Scorro i volti dei miei amici e conoscenti e, che non me ne vogliano, ma mi danno la nausea anche loro. Semplicemente perché non ho voglia di vedere nessuno, né di comunicare. Per dire cosa? Per affrontare i soliti discorsi? 
Ogni rapporto interpersonale ha un percorso di argomenti che ad ogni uscita tende a reiterarsi. Sempre il solito. Sempre quelle piccole e grandi banalità a cui si finge di essere interessati e sorpresi. Ma che in realtà sono sempre le stesse da anni. Ogni fine settimana. In ogni bar o via del centro.

E allora so che con qualcuno si parla degli studi, con altri dei progetti futuri, con altri dei nuovi fidanzati, e con altri ancora dei vecchi. Con alcuni ti senti in famiglia, con altri inadeguato, con altri ancora annoiato. Alla fine sfoggi sempre quel sorriso con cui annuisci e fai finta di stare a sentire, mentre dentro di te partono voli pindarici su dove vorresti essere davvero e con chi. Probabilmente luoghi e persone immaginarie, quegli image-schema che ti si formano in testa ma che non trovano riscontro nella realtà.

Penso che dovrei stare attenta col cibo. E per contro, mangio con sregolatezza.
Penso che potrei fare un po' d'attività fisica, magari una pedalata con la cyclette o una corsetta. E passo 12 ore al giorno davanti al computer.
Penso che potrei vedere un film. O ascoltare della musica. Ci provo e sento solo un gran frastuono che infastidisce il mio udito.
Penso che potrei rimettermi a sfogliare i libri di tedesco del liceo, perché no, l'ho sempre detto che mi sarebbe piaciuto, se solo avessi avuto tempo. Ma i libri sono nello scaffale. Impolverati come il tempo che adesso ho e non sfrutto. E ci sono rimasti.

Sono profondamente disturbata da questo atteggiamento. Vedessi qualcuno comportarsi così, nella mia condizione, direi che è una vergogna. E mi vergogno. Perché questo modo di (non) affrontare la vita è assolutamente opposto al mio carattere, al mio entusiasmo e alla mia voglia di assaporare ogni giorno nella sua pienezza.

lunedì 11 luglio 2011

NUOVI ORIZZONTI

Sono fermamente convinta che nel tracciare i propri percorsi di vita e nell'incentivare imprese piccole e grandi un ruolo fondamentale sia rivestito dalle persone che intrecciano le nostre traiettorie.


A volte mi sento scoraggiata, mi capita di farmela letteralmente sotto pensando a quanto sia incerto il mio futuro e alla possibilità che l'immensa energia che sento dentro possa esplodere oscuramente come quei fuochi d'artificio sparati male.



Eppure oggi mi sento serena.
L'incontro con la mia professoressa di francese è stato lenitivo per le mie inquietudini. L'approccio positivo e intraprendente nei confronti delle attività che svolge, la passione pressoché palpabile per la sua disciplina (o meglio, per il suo universo culturale ed intellettuale), le relazioni umane che ha intessuto con me e con l'intera classe, sono per me linfa vitale. Per i miei sogni, per i miei progetti, per i miei lavori.

Un progetto interessantissimo per la mia Tesi di Laurea Magistrale sta prendendo forma, ed io sono felice. Perché ho fissato un'altra meta. E si prospetta un percorso ricco, stimolante ed incredibilmente affascinante.

Di solito i ringraziamenti si mettono alla fine.
In questo caso preferisco collocarli all'inizio, anzi, ai primordi di quello che sarà in futuro il prodotto scritto.

giovedì 30 giugno 2011

QUINDICI ANNI E MEZZO

Terzo superiore. Quindici anni e mezzo. Esplode il mio amore per la scrittura.
- Cosa vuoi fare da grande?
- Voglio scrivere.

Esce il bando per una borsa di studio con la scuola Holden di Torino.
Quindici anni e mezzo.
La selezione prevedeva di rispondere alla domanda: "Perché ti piace scrivere?"
Ancora ricordo l'emozione, quando la lessi.
Ancora ricordo l'emozione, quando presi la penna in mano ed iniziai a rispondere.
Era la prima volta che mettevo nero su bianco il mio amore per la scrittura.
Era la prima volta che affrontavo direttamente il mio amore per la scrittura.
Era la prima volta che capii quanto fosse vero il mio amore per la scrittura.
Era la prima volta che anche qualcun altro se ne accorse. Mi presero.

Quasi dieci anni dopo, mi imbatto nei testi della Duras.
Mi conquistano. Mi catturano. 
Sono sorprendentemente diretti, per non dire scarni.
Sono sorprendentemente nudi. Vivi. Veri.
La sento vicina. A me. Al mio modo di vedere il mondo.
Ovviamente la sento immensamente grande rispetto a me.
Decido a scatola chiusa di renderla protagonista della mia Tesi di Laurea Magistrale.
Perché con dieci righe è riuscita ad emozionarmi.

Con la curiosità di un'ignorante inizio a cercare informazioni.
Trovo questa citazione, tratta da l'Amante.

"Quindici anni e mezzo [...]voglio scrivere. 
L'ho già detto a mia madre: 
la cosa che voglio è questa, scrivere." 
M. Duras

Mi scende una lacrima.
Non riesco a trattenerla.
Non voglio trattenerla.

Ho deciso di scoprire quest'autrice e compiere un percorso accanto a lei, su di lei. Dieci righe mi sono bastate.
E oggi la commozione che mi ha trasmesso con queste poche parole, è stata la grande conferma che aspettavo.

venerdì 24 giugno 2011

La mediocrità (e non aurea mediocritas)

In un periodo come quello che sto vivendo, costantemente sotto pressione, scossa e sfiorata da infiniti impulsi nei diversi campi della mia vita, mi ritrovo trasportata dagli eventi, podista mio malgrado in una corsa che procede fra ostacoli e scambi di testimone.

Secondi, minuti, ore, giorni, settimane, scorrono rapidi sotto i miei piedi stanchi e ambiziosi.

Una delle cose che ho sempre temuto di più nella vita è "stare nel mezzo". La mediocrità non fa per me. L'ho sempre vista come qualcosa di frustrante, uno sconveniente compromesso da mandar giù. Vale anche per le persone che ho intorno. Non mi piace frequentare persone "mediocri". Cerco sempre amicizie "eccellenti". A leggerla così, posso dare l'impressione di essere una ragazzina snob viziata, in realtà quello di cui parlo, e che ho sempre cercato di fuggire, è la mediocrità intellettuale. Mi piacciono le persone brillanti. Sono attirata da personalità lucenti. Amo l'intraprendenza, la voglia di sacrificarsi, la voglia di raggiungere i propri obiettivi, la determinazione e soprattutto l'intelligenza nel saper fare tutto questo. 
D'altra parte sono sempre stata infastidita da chi vuole a tutti i costi dimostrare di sapere tutto e di saper fare tutto. Odio le persone che si sentono "già arrivate", perché sono fermamente convinta che l'eccellenza si raggiunga con l'umiltà. Non mi piace sentirmi dire "brava" perché ho cercato con prepotenza di farmelo dire, mi piace sentirmelo dire dopo aver fatto un buon lavoro ascoltando gli insegnamenti di chi ne sa più di me.
Per questo quando sto con persone che non conosco preferisco ascoltare piuttosto che prendere in mano le redini della conversazione per elencare le mie doti. Credo nel lavoro sodo, più che nelle parole molli.

Questa era la prima riflessione che mi sentivo di fare, alla luce dei tanti "ciarlatani del sapere"che si autoproclamano tuttologi del genere umano e con cui purtroppo mi ritrovo a relazionarmi.
Ne avrei altre, ma proprio perché devo lavorare sodo, devo rimandare la scrittura ad un altro momento. Le appunto nell'agenda dei miei pensieri, e quanto prima le registrerò in questo diario di stati d'animo.

martedì 7 giugno 2011

PLEASE CHARGE ME

Arrivano i primi segni di cedimento.
Sto perdendo l'equilibrio della concentrazione.
Ho finito il fiato proprio nel momento dello sprint finale.
Come un podista principiante.
Sono invasa da una stanchezza fisica e mentale.
Ho trascorso notti sommersa da fogli e dizionari per passione,
Ho nutrito questa passione con la mia energia
Non ne ho preservata nemmeno un po' per me.
Ho dato tutto.
Anche la mia ansia.
Mi sono intestardita, emozionata, sfiancata. Mai arresa.

Adesso sono esausta.
Ho dato tutto.
Tanto dovrei dare ancora.
Ma non ho più niente.
Vorrei dare di più.
Se solo mi fosse rimasto qualcosa.

lunedì 30 maggio 2011

INCUBI DA FAVOLA E SOGNI DA INCUBO

Aggiorno svogliatamente il sito della facoltà alla pagina "Progetto Erasmus".
L'occhio pigro e sconsolato di colpo cade su "Approvazione graduatorie relative alle borse di studio Erasmus per la facoltà di Lettere e Filosofia". In un attimo tutto si fa confuso, velocissimo e interminabile allo stesso tempo. 
Apro il link, col respiro trattenuto. 
Il file pdf si apre. 
Cerco il mio nome. 
Prima vincitrice di Paris-Sorbonne
Scorro ancora. 
Prima vincitrice di Toulouse Le Mirail

Esplodo, non ci credo, implodo. 
Ed ora? Devo scegliere io? Che faccio? Stupendo e terribile allo stesso tempo. Non capisco. Voglio piangere. Voglio gridare. Penso al mio punto di riferimento per quanto riguarda il francese, sia dal lato accademico che per la passione che ha saputo trasmetterci. Chiamo la mia Prof. Cosa fare? Pro e Contro. Razionalità. Lucidità.

Chiamo parenti, amici, fidanzato. Ho vinto. Anche troppo. "Si sono contenta ma... Speravo qualcuno scegliesse per me! Ora che faccio?". 

Parigi. Tolosa. Parigi. Tolosa.
Pranzo sul Trasimeno.
Parigi. Tolosa. Parigi. Tolosa.
Gita a Montepulciano.
Parigi. Tolosa. Parigi. Tolosa.
Cena e cinema.
Parigi. Tolosa. Parigi. Tolosa.

Sonni inquieti. Giornate di scelte.
Dove mi piacerebbe andare?
Parigi. Tolosa. Parigi. Tolosa.
E la soluzione non si trova.

Cambio prospettiva.
Quale mi dispiacerebbe di più rifiutare?
Cerco di vedermi nel futuro. Cerco il rimpianto più grande.
I pensieri iniziano a rischiararsi. Mi vedo.
Non me lo perdonerei mai. Mai.

L'ho sognata da una vita. L'ho aspettata. Ed è arrivata.
Ho capito. Ho cercato di distinguere il vero amore dalla cotta passeggera.
Ho preso la mia decisione.

Stampo i moduli di accettazione.
Prendo la bic.
Una croce sulla casella "Dichiara di Accettare"
Una croce sulla casella "Dichiara di Non Accettare"

Arriva la notte. 
Nel letto ho paura. Nel letto volano i sogni. Mi lascio cullare dall'ansia.
Passa la notte. 

I moduli vanno consegnati.
Incontro un ragazzo che non conosco. 
Mi dice che ho sbagliato. 
Mi ci fa quasi ripensare. 
Era appena tornato da a Tolosa. 
Lo saluto. 
Entro in ufficio e chiedo informazioni. 
Poi li lascio. 
Mi restituiscono una copia timbrata.
Sono sotto i miei occhi, ora.

Dichiara di accettare Paris-Sorbonne.

sabato 7 maggio 2011

LE MIE PIÙ CARE OSSESSIONI

Entusiasmo, Passione, Impegno, Soddisfazione.
Sfiducia, Incertezza, Inquietudine, Timore.

Le mie giornate trascorrono così. In un'alternanza di sentimenti contrastanti che non vogliono saperne di raggiungere un accordo. E così io non mi sento altro se non un pendolo sospinto nel suo moto perpetuo da meccanismi che suo malgrado non hanno intenzione di arrestarsi.

Percepisco la mia crescita. Interiore, intellettuale, culturale.
Mi sto creando strumenti preziosi e li sto proteggendo con amore e con cura.
Lo faccio con Entusiasmo, spinta dalla Passione, investendo le mie energie in un Impegno continuo, sperando in qualche Soddisfazione.
Lo faccio animata da una forte ambizione. Da un'inspiegabile tensione alla perfezione che allontana la stanchezza,  la voglia di uscire o di riposarmi.
La lingua francese e la traduzione stanno diventando le mie più care ossessioni.

D'altra parte, ho paura che tutti i miei sforzi ed il mio amore non siano sufficienti per riuscire, per affermarmi in questo mondo così strano, vago, spietato.
A volte la Sfiducia si impadronisce di me. Comincio a pensare a quanto sia duro lottare per emergere, all'Incertezza che purtroppo è l'unica grande certezza del mio futuro. Vivo nell'Inquietudine di dover trovare una strada per affermarmi al di fuori del campo universitario. Ho fretta, ed è giusto così, ma mi sento imprigionata in un labirinto così intricato e asfissiante che a prevalere è solo il Timore di non riuscire a trovare un'uscita.

domenica 10 aprile 2011

SPALANCARE LA FINESTRA AL MONDO O FARSI SPIARE TRA LE TENDE?

Quello che intendo scrivere stasera è un po' diverso dal resto dei post pubblicati in questo spazio.
Non farò voli introspettivi nel disperato tentativo di capire l'infinita complessità della mia mente e del mio cuore.
Non correrò con le dita sulla tastiera per sfogare "malesseri speciali" (tanto per dirla con Franco Battiato)
Non esprimerò inquietudine per l'essere giovani nel 2011.

Ho deciso di parlare della scrittura, la mia scrittura; in particolare ho deciso di avventurarmi in riflessioni che hanno per soggetto proprio questo blog. Riflessioni che da tempo sono latenti e che ho evitato accuratamente fino ad ora.

Qualche giorno fa ho partecipato alla conferenza "Quelques stratégies de travail dans le web 2.0" (http://www.dailynterpreter.com/archives/2299) tenuta da Natacha Niemants. Per un'amante della traduzione e della scrittura come me, con forte interesse per l'ambito del marketing, è stato un incontro, oltre che utile e stimolante, davvero rivelatore.
Sono uscita dalla "Sala delle adunanze" dell'Università degli Studi di Perugia con sguardo sognante, occhi lucidi e battito accelerato. Camminavo per le strade della città con un entusiasmo straripante, un sorriso stampato in faccia e la certezza che credere veramente nei propri sogni è il primo passo per concretizzarli.
Per farla breve, ho respirato una boccata d'ottimismo che ha spazzato via i pensieri negativi allontanando la convinzione che "tanto non riuscirò mai a diventare una traduttrice".

Tralasciando la straordinarietà di questa persona, del suo mestiere e della conferenza, il tipo di riflessione di cui voglio parlare ora riguarda tutt'altro argomento.
Natacha Niemants ha sottolineato quanto sia fondamentale la condivisione in un mondo come il web. Più volte mentre lei parlava ho rivolto il pensiero a questo spazio.
Nel momento in cui questo blog è nato, stavo attraversando un periodo molto particolare e difficile. Ero alla ricerca di punti d'appoggio cui aggrapparmi per risalire dal fondo con caparbietà e determinazione, come sono solita fare del resto. La scrittura è stata da sempre un mezzo fondamentale per esprimermi, una crema lenitiva per qualsiasi ferita, l'unico specchio in grado di riflettere fedelmente ed autenticamente le mie variazioni di tono interiori. Per questo ho deciso di registrare ogni stato d'animo ed ogni cambiamento che andavo ad attraversare. Per capirmi. Per darmi delle indicazioni. Per aiutarmi con consigli più oggettivi, come se stessi ascoltando i malesseri di qualcun altro.
Non nascondo, d'altra parte, che quando leggo il prodotto della mia scrittura, provo una punta d'orgoglio nel riscontrare che sfoghi del tutto personali e improvvisati abbiano anche un aspetto gradevole alla lettura.
Più volte ho pensato: " E se quello che scrivo potesse essere utile per qualcuno che si identifica nei vari momenti vissuti da me? E se avessi un pubblico con l'interesse e la voglia di leggermi?"
Da una parte ho sempre avuto voglia d'esser letta, dall'altra ho sempre avuto il timore che questo potesse influire sulla spontaneità di quello che scrivo.
Ho sempre voluto che questo blog fosse uno spazio personale in cui abbandonare ogni inibizione a totale vantaggio della mia libertà. Temo che se sapessi che fosse letto da persone che conosco diventerei politically correct e magari inizierei a mitigare i miei sentimenti finendo per ovattarli, farei delle leggere virate su alcuni temi piuttosto che altri nel timore di mettermi troppo a nudo di fronte a chi mi conosce sotto varie vesti, tranne quella più intima e profonda.
Per queste ragioni ho sempre optato per lasciare questo spazio aperto senza pubblicizzarlo, nel tentativo di raggiungere un compromesso tra notorietà e privacy. Mi piace immaginare che qualche sconosciuto finisca sul mio blog per caso, magari mentre su un motore di ricerca spera di trovare la soluzione ad un problema simile a quelli di cui ho parlato qui. Fino ad ora però non ho mai avuto il coraggio di pubblicizzarmi, o piuttosto di avere utenti intenzionali e da me conosciuti.
La conferenza di Natacha Niemants mi ha fatto però riflettere molto. Benché il suo non sia uno spazio totalmente incentrato sulla sfera privata come il mio, il fatto che lei sia così ben disposta a condividere le sue esperienze, i suoi progetti e le sue conoscenze ha innescato in me una serie di pensieri; forse qualcuno può provare sollievo nel leggere quello che scrivo, forse può essere un semplice passatempo, forse la soluzione a piccoli problemi di ordinaria amministrazione, forse se lo leggesse qualcuno che mi conosce solo in veste "pubblica" può capire meglio molte cose di me, forse potrei ricevere critiche costruttive.
Potrei continuare con i forse, ma in realtà mi sto cominciando ad annoiare di registrarli.
Essendo questo un contenitore di riflessioni, non sono naturalmente giunta alla soluzione del mio dubbio, anzi, proprio per questo mi è venuto spontaneo scriverlo qui. Per trovarvi una risposta. Continuerò a meditare in questi giorni. Sceglierò tra la penombra e l'ingresso ufficiale nel web. Ad ogni modo non rinuncerò mai alla totale spontaneità di questo rifugio.

Ah. Per i miei lettori casuali e sconosciuti che avvistano il mio profilo nella penombra e si chiedono "Ma chi è questa Natacha Niemants?" La risposta è qui, http://www.dailynterpreter.com/ nel suo sito.

domenica 3 aprile 2011

UN BRIVIDO ESPRESSIONISTA

Il cambio di tonalità nei colori delle giornate provoca sempre in me qualche sorta di emozione.
È come se le sfumature delle transizioni stagionali attraversassero anche il mio corpo per poi arrivare a permeare i sentimenti. Sono lievi e graduali passaggi, spesso caratterizzati dalla convivenza di stati d'animo differenti, che a volte emergono fino a diventare quasi palpabili.
Di solito la percezione del cambiamento avviene in un istante preciso. E mi viene da pensare ad un quadro di Pollock; a quell'istante in cui il colore incontra la tela, magari provocando una flessione impercettibile seguita dalla penetrazione del colore tra le fibre. Se la tela fosse senziente avvertirebbe un brivido. Si accorgerebbe del suo cambiamento di stato.
Allo stesso modo, qualche giorno fa, la primavera mi è schizzata addosso, mentre trascinavo la valigia verso la stazione. Ne ho avvertito il profumo, anche se procedevo a passo svelto su un marciapiede accanto al traffico congestionato dove a fiorire è solo lo smog. Ne ho avvertito il calore, col sole che mi accarezzava il viso quasi  ad invitarmi ad una pausa per guardare l'azzurro terso del cielo. Ne ho avvertito persino la malinconia, perché si sa, la primavera è la stagione del risveglio, e proprio per questo è il momento in cui mi rendo conto che il tempo scorre velocemente ed ho paura di non stare al passo, nonostante la mia marcia veloce con valigie colme di buoni propositi.
È la mia stagione preferita, la primavera. Ogni anno in cui viene a colorarmi lo spirito, ricordo la prima volta in cui mi sentii come un quadro di Pollock: rivedo le mie gambe colorate dal celeste dei primi collant leggeri della stagione, un paio di ballerine ed un vestito dai colori pastello. Rivedo il color rosso mattone della pavimentazione che ricopre la piazzetta sotto al mio palazzo. Ricordo che era domenica, e aspettavo le mie amiche per andare alla Messa. Era l'anno precedente alla Cresima.
Tante cose sono cambiate da quel momento - prima fra tutte l'allontanamento dalla Chiesa Cattolica - eppure quel sentimento nei confronti del risveglio primaverile è rimasto immutato.
Nel mio percorso verso la stazione ho rivisto i collant celesti e il pavimento rosso mattone, ed è in quell'istante che ho sentito il brivido, e Le ho dato il benvenuto.
Un altro inverno è passato velocemente. Un altro ne arriverà altrettanto rapidamente. Per ora prendo in mano un pennello ed inizio a sfumare quel meraviglioso schizzo di colore espressionista, cercando di ottenerne dei  contorni impressionisti.

sabato 5 marzo 2011

ESSERE MIOPI IN UN MONDO SFOCATO

Prima settimana a Perugia.
Nuova stanza. Nuove ragazze con cui condividere la casa. Nuovi corsi da seguire.
Vecchia città. Vecchia facoltà. Vecchi compagni di corso.
Un nuovo inizio. O forse la nuova puntata di una vecchia storia.
Momenti di euforia alternati a momenti di malessere.
Momenti di malessere alternati a momenti di euforia.
Spaesata in luoghi familiari.
A casa in luoghi sconosciuti.
Ogni fase di cambiamento offre infiniti spunti di riflessione.
Ogni riflessione a cui non si trova spiegazione logica genera malumore.
E così vivo sensazioni di inadeguatezza. Paure ed insicurezze.
Per me. Per il presente. Per il futuro.
Vivo l'impegno universitario con grande responsabilità.
Ho voglia di riuscire.
Eppure sono consapevole che non basta.
Voglio tradurre. Vorrei tradurre.
Ho paura di non farcela.
Ed ho paura di non saper fare altro.
Affronto questo ritorno alla vita fuori casa in modo diverso dai precedenti tre anni.
Sono cresciuta, maturata. 
E mi sento un peso. 
Perché non ho autonomia economica.
Vorrei averne. Ma non so da dove partire.
Vorrei lavorare. 
Ma vorrei allo stesso tempo seguire il percorso universitario in maniera completa sfruttando al massimo tutto il tempo e le potenzialità che posso dedicargli. Perché la paura di non riuscire è tanta. E so di non poter allentare i ritmi di studio. Perché studiare (e lavorare con) le lingue richiede continuità. Impegno costante e ininterrotto. E non posso distrarmi. Seguo i corsi da mattina a sera. E so che il dopocena è dedicato al lavoro individuale. A casa. Per non perdere l'allenamento. Chi si dedica allo studio delle lingue è un atleta. Non può permettersi di restare senza fiato. Non può permettersi pause. Perché sul cronometro il tempo scorre. E se l'intenzione è di lavorarci in modo serio, di fare di una lingua la propria vita, lo studio non può occupare un ruolo marginale, ma deve essere protagonista. Come la palestra per l'atleta che gareggia con la Nazionale.
"La lingua è qualcosa di molto difficile da apprendere e di molto facile da dimenticare", è quello che ha affermato la professoressa di inglese nel corso della prima lezione dedicata alla Cognitive Linguistics.
Ed è tremendamente vero.
Nonostante questo mi sento un peso. Mi sento a disagio ad accettare i soldi dei miei.
Vivo un blocco interiore. Vivo nell'incapacità di agire. Vivo un malessere che mi impedisce di essere serena.
Credo di conoscermi abbastanza bene. So che in seguito a questi periodi di inettitudine riesco a trovare degli slanci per agire meglio di come possa immaginare. Ma ora che sono sommersa nella stasi, mi sento solo mancare l'aria. Mi sento annegare. Nella mia mancanza di autonomia. Nella paura di non riuscire. 
Ho bisogno di appigli che possano darmi sicurezza. 
Ho bisogno di conferme. 
Ho bisogno di piccole soddisfazioni che possano incoraggiarmi e sussurrarmi che sto seguendo le strade giuste.
Ho bisogno di sapere che il percorso che ho intrapreso ha una qualche destinazione.

E forse tutti questi bisogni non li avverto solo io, ma tanti altri giovani come me, che hanno dei sogni e la ferma volontà di realizzarli.

lunedì 14 febbraio 2011

UN ANNO PER RITROVARSI. UNA VITA PER VIVERE.

http://melissafilippucci.blogspot.com/2010/02/preghiera-al-protettore-degli.html

Mi sembra sia qualcosa di così lontano.
Qualcosa che si perde nei giorni, nei mesi, negli anni.
Qualcosa che non sono più in grado di collocare nel tempo.
Qualcosa di sbiadito. Indecifrabile.
Irraggiungibile col pensiero.
Come quei ricordi d'infanzia che si mescolano tra memoria propria e racconti altrui.
Eppure, scorrendo le pagine di questo mio spazio, ho ritrovato le parole che scrissi.
Ed era solo un anno fa.
E rileggendole mi ricordo quanto quel dolore sia stato vero ed autentico.
Anche se ora le rileggo con una distanza di sicurezza.
Frappongo fra me e lo stato d'animo di quei momenti una barriera che mi rende mera osservatrice.
Un vetro antiproiettile attraverso cui scruto la tempesta che fu.
Attraverso cui mi rivedo sconvolta, lacerata, distrutta, disintegrata, dannata.
Oggi so di essere sopravvissuta.
Oggi so di essere incredibilmente forte e rinvigorita.
Oggi so di essere nuova.
E tutto questo non è perché ho accanto un'altra persona.
Ma perché ho me stessa.
E mi tengo in pugno.
E mai più mi perderò dentro gli altri.
Pur essendo innamorata.

Sembra quasi che la mia preghiera abbia trovato ascolto.

venerdì 28 gennaio 2011

LEGGERE

La prima cosa che faccio quando compro un nuovo libro, è scrivere il mio nome dietro la copertina. Un atto di proprietà che mi arroga il Sacro Diritto di immergermi completamente nella storia che sto per iniziare.

Perché le pagine sono leggére, si librano in aria.
E iniziare a lèggere una storia è un decollo.
A questo serve aggiungere il mio nominativo.
Per essere un passeggero tra i personaggi.

venerdì 14 gennaio 2011

PARALIZZATI NELLE INQUIETUDINI

Mi rendo conto ogni giorno che passa di quanto sia difficile avere ambizioni, crederci con costanza e fare del tutto per realizzarle. In mezzo a tutte quelle correnti opposte che impediscono o comunque contrastano la risalita di un mondo dove tutto sembra degli adulti. Dei "grandi". Si sono disegnati i loro castelli e da lì ci guardano con disprezzo arrancare in questa giungla spietata dove le trappole le mettono proprio loro. Per umiliarci forse. Per mostrarci con arroganza che loro sono bravi, e noi siamo inetti.
Sono loro che ci hanno spinti a studiare. Ma sono loro che di fronte alle nostre lauree si mettono a ridere.
Ci guardano dall'alto in basso con aria di sufficienza e noi ci facciamo scrutare subendo sguardi di disappunto. Hanno ideato sistemi malfunzionanti, ci hanno ingabbiato come criceti e ci hanno messo a correre dentro la ruota, frustandoci se rallentiamo, ridendo se corriamo, indignandosi se ci fermiamo a riprendere fiato.

Sento pulsare in me la rabbia e la sfiducia perché amo la mobilità e non la staticità. Sia come stile di vita che come forma mentis. Ma sento che intorno a me la voglia di formarmi e di fare esperienze è vista come un vezzo, un capriccio. Non qualcosa di indispensabile in un mondo dove le distanze non esistono più e tutto si muove alla velocità della luce. L'incomunicabilità, l'incomprensione, lo smarrimento, misti a desideri che invece mi proiettano alla comunicazione, alla comprensibilità e all'orientarsi in ogni angolo della terra, mi fanno vivere una paralisi mentale che si trasla anche nella mia capacità d'agire. Vorrei conquistare la mia indipendenza. Mi vanno stretti i cliché e la routine. Le convivenze forzate, le piccole e grandi manie, la sensazione di essere un fardello economico e sovvertitore dell'ordine micro-cosmico del pianeta-famiglia, il suscitare compassione quando studio e sdegno quando esco, l'essere costantemente sotto giudizio, il non essere capita come persona, il baratro generazionale e l'impossibilità di dialogo, le frasi di condanna assoluta a priori, i luoghi comuni. Vorrei sganciarmi da tutto questo per rinascere ancora, perché purtroppo sento che mi sto spegnendo di nuovo. Tre anni vissuti sola in un'altra città mi hanno fatto odorare quella che potrebbe essere la mia vita. Quella che cercherò di rincorrere ad ogni costo, ma che sarà difficile acciuffare nella sua totalità a causa di un mondo, quello degli adulti, che non fa altro che denigrare la nostra buona volontà.

Se studi per qualificarti non hai esperienza di lavoro, quindi nessuno ti vuole.
Se smetti di studiare e ti accontenti del primo impiego che trovi (e se sei così fortunato da trovarlo) sei la pietra dello scandalo perché "la laurea ormai la prendono tutti".
Se ti va bene trovi qualcuno disposto a sfruttarti per un po'. Quel po' che ti permette di sopravvivere, ma non di fare progetti per il futuro.
In ogni caso, il tuo valore è 0.

Mi si potrebbe dire che stia scrivendo delle ovvietà. Ma questo non fa che rendere il quadro ancora più drammatico. Preferirei piuttosto essere smentita. Se non altro per trovare via d'uscita da quest'inquietudine nella quale sono incatenata.

sabato 1 gennaio 2011

TORPORE DI CAPODANNO TRA DUBBI E PALPITI

Come tutte le tradizioni che si rispettino, anche la sensazione di stordimento e torpore del primo giorno dell'anno non ha tardato a manifestarsi. Strano che sia proprio il Capodanno ad essere fra i 365 giorni, il meno rimarchevole e forse il più sgradevole. Appesantiti dal sovraccarico di calorie delle feste, sfiancati dalle poche ore di sonno della notte, ci si alza a ora di pranzo senza sapere se scaldare il latte o mangiare le lenticchie avanzate dalla sera prima (perché si sa, il cenone di San Silvestro è composto da una sfilata roboante di portate, ma quando si arriva alle lenticchie - rigorosamente da mangiare dopo la mezzanotte perché portano soldi per il nuovo anno - il pentolone d'acciaio fatica a far calare il suo contenuto, e tutti i commensali si limitano a prenderne "solo un cucchiaio").  La lotta tra il farsi cullare dalla poltrona e la timida voglia di attivarsi ed organizzare una qualsiasi attività per la giornata persiste fino a sera, e senza manco il bisogno di dirlo, la poltrona vince sempre, ogni 1° gennaio.

Complice forse questo fisiologico stato di malessere, aggiunto a svariati dolori e agli inevitabili pensieri alternati tra bilanci e propositi per l'anno che viene, sto vivendo questo giorno in modo del tutto insignificante, con l'aggiunta di un pizzico di insoddisfazione del quale non riesco a cogliere l'origine.

Non sono completamente serena, ho paura di essere giudicata, ho paura di ingerenze che possano influire sullo scorrere della mia esistenza, ho paura di dover dare spiegazioni. Ho paura non so bene di cosa. Ma già il fatto d'aver paura non mi piace affatto.

Sto vivendo momenti sereni. Sto assistendo in diretta alla nascita di un sentimento che mi ha stupita e lasciata incredula. Sono felice di quello che sto vivendo. Forse per questo ho paura, e come la chioccia con i suoi pulcini, vivo costantemente in allerta, cercando di nascondere e occultare quanto di bello mi sta accadendo, per paura che qualcuno possa distruggerlo, portarlo via ancor prima d'avere l'opportunità di evolversi in qualcosa di più grande.

Tenendo questo atteggiamento mi sembra quasi di tradire coloro con cui non condivido la mia novità, eppure non riesco a confidarmi. Forse perché sono stata io la prima ad essere colta di sorpresa, penso che gli altri non possano capirmi. 
Eppure non c'è niente di male, lo so bene, a 22 anni (quasi 23), dopo un intero anno trascorso a fuggire da ogni potenziale fonte d'amore, nel sentire di nuovo il cuore battere forte accanto ad una persona, nell'emozionarsi per le cose piccole e grandi che si condividono insieme. Non è altro che la dimostrazione palese della mia vitalità, che si era spenta per uno spicchio della mia esistenza.

Forse il fatto d'aver vissuto una storia impegnativa di quasi quattro anni mi aveva resa come una donna sposata da tempo, che provava amore, è vero, ma aveva dimenticato l'innamoramento ed i suoi brividi. 
Forse il fatto di ricominciare a provare questa sensazione vecchia eppure nuova mi rende gelosa di essa e mi porta a non palesarla. 
Forse è che lui mi sta coinvolgendo mentalmente, con la sua intelligenza brillante, quella che mi sa tener testa, ed il suo amore per la cultura, la stessa che amo io.
Forse è che siamo così diversi, per non dire opposti in tante cose... Ma è un'opposizione così cerebrale, così piena di wit, che temo il mondo non possa capire cosa io trovi in lui e cosa lui trovi in me. E pure noi c'abbiamo messo un po' per capirlo, ma ora che l'anagramma è stato risolto (e qui i Baustelle calzano alla perfezione) è diventato tutto banalmente palese... È che abbiamo delle intelligenze molto simili, che magari sfruttiamo in campi e per scopi diversi, ma che quando si incontrano fanno faville.

Con un pizzico di presunzione ed un sorriso un po' supponente ci capita di dire che la nostra unione ci eleva a tal punto da creare un "baratro intellettivo" col resto del mondo. Ci sentiamo dei geni incompresi. O meglio, dei geni che si comprendono tra loro. Ed è stato quasi surreale trovarsi e vedersi sotto una luce diversa così d'improvviso, pur conoscendoci da tempo. È come se persi in una folla al buio avessimo camminato sul palco di un teatro scontrandoci innumerevoli volte senza farci caso. Poi un giorno il tecnico delle luci, che potrei definire un moderno cupido,  ha deciso di spararci addosso tutto il bagliore che aveva in mano, semplicemente per metterci a conoscenza che forse quello che andavamo cercando ce l'avevamo sotto il naso, bastava solo alzare lo sguardo e cogliere dei segni.

Lentamente, durante questa scrittura, l'insoddisfazione si è andata placando, ed ora di nuovo, come quando sono in sua compagnia, non penso più agli altri, ma a noi.
Non posso sapere come andrà a finire, non voglio saperlo del resto. Non si può mai sapere. Non si deve mai sapere. Per ora posso dire che se qualche dubbio l'avevo, ora scrivendo sono riuscita a metterlo a tacere. Di nuovo, è tornata la voglia di vivere come un prezioso dono quello che giorno per giorno potrà darmi questo nuovo capitolo della mia vita, questa nuova persona che ha incrociato il mio cammino. Sono pronta per avventurarmi negli infiniti e sconosciuti spazi del mondo e dei sentimenti.