venerdì 14 gennaio 2011

PARALIZZATI NELLE INQUIETUDINI

Mi rendo conto ogni giorno che passa di quanto sia difficile avere ambizioni, crederci con costanza e fare del tutto per realizzarle. In mezzo a tutte quelle correnti opposte che impediscono o comunque contrastano la risalita di un mondo dove tutto sembra degli adulti. Dei "grandi". Si sono disegnati i loro castelli e da lì ci guardano con disprezzo arrancare in questa giungla spietata dove le trappole le mettono proprio loro. Per umiliarci forse. Per mostrarci con arroganza che loro sono bravi, e noi siamo inetti.
Sono loro che ci hanno spinti a studiare. Ma sono loro che di fronte alle nostre lauree si mettono a ridere.
Ci guardano dall'alto in basso con aria di sufficienza e noi ci facciamo scrutare subendo sguardi di disappunto. Hanno ideato sistemi malfunzionanti, ci hanno ingabbiato come criceti e ci hanno messo a correre dentro la ruota, frustandoci se rallentiamo, ridendo se corriamo, indignandosi se ci fermiamo a riprendere fiato.

Sento pulsare in me la rabbia e la sfiducia perché amo la mobilità e non la staticità. Sia come stile di vita che come forma mentis. Ma sento che intorno a me la voglia di formarmi e di fare esperienze è vista come un vezzo, un capriccio. Non qualcosa di indispensabile in un mondo dove le distanze non esistono più e tutto si muove alla velocità della luce. L'incomunicabilità, l'incomprensione, lo smarrimento, misti a desideri che invece mi proiettano alla comunicazione, alla comprensibilità e all'orientarsi in ogni angolo della terra, mi fanno vivere una paralisi mentale che si trasla anche nella mia capacità d'agire. Vorrei conquistare la mia indipendenza. Mi vanno stretti i cliché e la routine. Le convivenze forzate, le piccole e grandi manie, la sensazione di essere un fardello economico e sovvertitore dell'ordine micro-cosmico del pianeta-famiglia, il suscitare compassione quando studio e sdegno quando esco, l'essere costantemente sotto giudizio, il non essere capita come persona, il baratro generazionale e l'impossibilità di dialogo, le frasi di condanna assoluta a priori, i luoghi comuni. Vorrei sganciarmi da tutto questo per rinascere ancora, perché purtroppo sento che mi sto spegnendo di nuovo. Tre anni vissuti sola in un'altra città mi hanno fatto odorare quella che potrebbe essere la mia vita. Quella che cercherò di rincorrere ad ogni costo, ma che sarà difficile acciuffare nella sua totalità a causa di un mondo, quello degli adulti, che non fa altro che denigrare la nostra buona volontà.

Se studi per qualificarti non hai esperienza di lavoro, quindi nessuno ti vuole.
Se smetti di studiare e ti accontenti del primo impiego che trovi (e se sei così fortunato da trovarlo) sei la pietra dello scandalo perché "la laurea ormai la prendono tutti".
Se ti va bene trovi qualcuno disposto a sfruttarti per un po'. Quel po' che ti permette di sopravvivere, ma non di fare progetti per il futuro.
In ogni caso, il tuo valore è 0.

Mi si potrebbe dire che stia scrivendo delle ovvietà. Ma questo non fa che rendere il quadro ancora più drammatico. Preferirei piuttosto essere smentita. Se non altro per trovare via d'uscita da quest'inquietudine nella quale sono incatenata.

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